Luigi Li Gotti: “Sulle stragi di mafia ancora tante ombre”

Luigi Li Gotti: “Sulle stragi di mafia ancora tante ombre”

L’ex senatore e avvocato di numerosi pentiti, ospite stamattina ai microfoni di Casa Italia Radio , a 30 anni dalla strage di via d’Amelio, parla dei molteplici aspetti irrisolti negli attentati mafiosi.

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Collegato con noi, l’avvocato Luigi Li Gotti, già Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia nel secondo Governo Prodi, Senatore della Repubblica dal 2008 al 2013 con l’Italia dei Valori, è stato avvocato di parte civile del processo per la strage di Piazza Fontana e ha rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi, il caposcorta nel processo di Aldo Moro, ha tutelato anche la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale, è stato anche il difensore di molti uomini di spicco della mafia, tra cui Tommaso Buscetta e Giovanni Brusca. Oggi è il 19 luglio, prima di lei è intervenuto il giudice Ayala, è un giorno particolare per il nostro Paese e trent’anni fa il giudice Borsellino veniva ucciso insieme alla sua scorta a via D’Amelio. Oggi sul quotidiano La Repubblica si scrive che la famiglia Borsellino diserta le celebrazioni affermano noi senza giustizia. Per Borsellino c’è stata giustizia?

Ritengo che sulla vicenda della strage di via D’Amelio la verità non si conosca totalmente perché rimane senza risposta la ragione di questa accelerazione all’esecuzione dell’attentato mentre l’organizzazione stava lavorando ad un altro attentato, quella nei confronti di Mannino. Quindi una fase operativa già avanzata. Poi arrivò l’ordine di bloccare tutto perché bisognava fare un altro attentato eccellente, quello dell’uccisione di Paolo Borsellino e delle povere vittime nella sua scorta. Quindi non si riesce a trovare risposta del perché di questa accelerazione rispetto a una decisione che era stata presa in battaglia fin dal febbraio. L’uccisione di Borsellino era programmata da anni come quella di Falcone però poi, nel febbraio 92, dopo il maxiprocesso in Cassazione, si decise di porre mano, così sono le parole riferite, porre mano alla punizione dei nemici, degli ex amici e dei traditori. Fu stilato un elenco di personalità da colpire. Si cominciò con Lima, poi Falcone, poi si iniziò a progettare l’eliminazione di Mannino e invece tutto fu bloccato per questa impellente urgenza.

Senta, avvocato, lei come giudica le motivazioni delle sentenze, dei processi, delle stragi?

 Le sentenze, sicuramente tolte quelle che furono frutto del depistaggio di Scarantino, l’uomo che si accusò di essere l’autore del furto della Fiat 500 imbottita di tritolo in via D’Amelio e con le accuse fatte ad altri complici, poi Scarantino ritrattò, poi confermò poi ritrattò, fin quando non iniziò a collaborare Gaspare Spatuzza, il quale smantellò totalmente la ricostruzione di Scarantino, per cui seguirono i processi di revisione.

Lei è stato l’avvocato di molti boss tra cui anche di Giovanni Brusca. Lei disse una volta “quando Brusca capì cos’è lo Stato”. Qual è il significato intrinseco di questa sua dichiarazione?

Quando venne arrestato Giovanni Brusca, fu un’operazione brillantissima. Gli arrestati, le persone che stavano in questa villetta, nulla capirono per il frastuono degli esplosivi destinate a far solo un rumore assordante. Quindi fu un’operazione in cui rimasero storditi tutti e Brusca non sapeva, una volta arrestato, che fine avessero fatto i suoi familiari, tra cui suo figlio, e quindi si rivolse al capo della squadra mobile di Palermo chiedendo di sapere che fine avessero fatto, i suoi familiari e il capo della Squadra Mobile di Palermo, invece di dargli una risposta, gli fece incontrare il figlioletto e per Brusca questo fu uno scoprire il volto dello Stato non come nemico, ma un volto dello Stato civile e comprensivo. Per lui fu un passaggio molto significativo. Tant’è vero che disse al capo della squadra mobile “Se un giorno io dovessi decidere di iniziare a collaborare, io lo farò con lei.”

Il 31 maggio del 2021, Brusca viene scarcerato dopo 25 anni di reclusione per fine pena, ma rimarrà in libertà vigilata per un annoi. Era rinchiuso nel penitenziario di Rebibbia. Naturalmente, le famiglie delle vittime si sono indignate per il fatto che oggi Brusca è un uomo a piede libero. Qual’è la sua opinione, visto che lei è stato il suo difensore?

E’ comprensibile la reazione dei familiari per il dolore e l’insulto atroce che hanno subito. Ma c’è una legge voluta fortemente proprio da Giovanni Falcone, che consentì di favorire la dissociazione, il pentimento e la collaborazione e quindi questa possibilità di aprire una finestra all’interno di Cosa Nostra, evitando una serie di crimini che diversamente sarebbero stati commessi nel tempo. Quindi la scoperta delle armi, l’arresto di centinaia di mafiosi e i processi fatti . Bisogna pensare a questo aspetto comprendendo con enorme rispetto il dolore delle famiglie, ma anche riflettere su quanto si è evitato di drammi al nostro Paese attraverso il fenomeno della collaborazione. E Brusca è stato un collaboratore sempre ritenuto attendibile nel corso di tutti questi anni e quindi, essendoci una condanna che, con un cumulo giuridico superava i 30 anni, più la liberazione anticipata prevista per tutti, ha finito di scontare la sua condanna.

Avvocato Li Gotti lei in quegli anni ha avuto paura?

Io non sono stato sottoposto a delle misure di protezione, per molti anni. Lo Stato ha provveduto a tutelarmi, di sua iniziativa non su mia richiesta, nel momento in cui raccoglieva degli elementi tali che facevano pensare a un possibile attentato. E questo è iniziato nel 94 ed è proseguito di fatto sino al 2011.

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